Tensione in Medio Oriente: che cosa farà l’Europa?

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Corriere della Sera

Il presidente americano Donald Trump (Afp)

Èuno di quei momenti, che capitano nella storia più frequentemente di quanto vorremmo, in cui tutto sembra svolgersi al rallentatore, tutti sembrano immobili, con il fiato sospeso. Il mondo attende le prossime fasi dell’escalation nel conflitto (già in atto da molto prima dell’uccisione di Qassem Soleimani) fra Stati Uniti e Iran e si interroga sui possibili effetti. Nell’attesa si può forse fare qualche osservazione, sperabilmente sensata, su cose che ci riguardano da vicino. A proposito dell’America e dell’Europa. Per quanto riguarda l’America ci si può chiedere come la scelta di Trump di infliggere un colpo di quella portata, così devastante, al nemico iraniano possa influenzare, da un lato, le imminenti elezioni presidenziali e, dall’altro, gli sviluppi della strategia americana in Medio Oriente.

Sul primo piano, la sensazione è che Trump, che partiva comunque già favorito, abbia accresciuto il proprio vantaggio rispetto ai rivali democratici. Questi ultimi, scegliendo di condannare l’uccisione di Soleimani hanno certamente ottenuto il plauso delle componenti radicali (in Europa si direbbero «di sinistra») del loro elettorato ma, plausibilmente, non hanno raccolto molti consensi nell’elettorato più centrista, indeciso fra democratici e repubblicani. Se l’asse politico democratico – come questa vicenda fa supporre – sarà troppo spostato a sinistra, Trump, presumibilmente, vincerà a mani basse. Questa non è una bella prospettiva per il mondo occidentale, per l’Europa in particolare. Una rielezione di Trump allargherebbe ancor di più la distanza politica fra le due sponde dell’Atlantico.

Sul secondo piano – la strategia americana in Medio Oriente – si tratterà di capire se l’azione di Trump (come ci ha da tempo abituato) è solo una rondine che non fa primavera, soltanto una mossa per colpire un uomo che rappresentava un’incombente minaccia per le vite dei soldati e gli interessi dell’America, oppure se è un punto di svolta, un messaggio di questo tenore: l’America è tornata con tutta la sua potenza in Medio Oriente, non è più disposta a lasciare campo libero ai progetti egemonici iraniani, al neo-imperialismo russo o alle nostalgie neo-ottomane turche. Se fosse vera questa seconda eventualità (ma con Trump non c’è niente di sicuro) allora ne discenderebbero molte conseguenze. Anche per l’Europa. Con l’aggravamento del conflitto fra l’Iran, Paese-guida del mondo musulmano sciita, spalleggiato dai russi, e gli Stati Uniti, l’Europa difficilmente potrà fare ancora a lungo il «pesce in barile», come al momento ha scelto di fare. I conflitti, man mano che si acutizzano, generano polarizzazione: se pretendi di non schierarti, prenderai colpi da tutte le parti, potresti fare la fine dei Melii, che per avere scelto di non schierarsi nella guerra (del quinto secolo avanti Cristo) fra spartani e ateniesi vennero massacrati dagli ateniesi.

Poniamo che davvero la potenza americana sia di nuovo in campo al servizio di una più generale strategia tesa a arginare le ambizioni e gli appetiti cresciuti nella regione a causa del vuoto che essa ha lasciato a lungo. Si tratterebbe di un ritorno all’antico: alleanza stretta con una parte del mondo musulmano sunnita e opposizione frontale all’Iran e all’islam sciita. Una presa di distanza non solo dalla politica di Obama (accordo nucleare con l’Iran) ma anche di George Bush Jr. Invadendo l’Iraq nel 2003, eliminando il controllo della minoranza sunnita sulla maggioranza sciita, Bush fece di fatto un favore agli iraniani, spinse l’Iraq nell’area di influenza persiana.

Trump è il contrario di tutto questo. Tenuto conto della complessità del mondo mediorientale (dove qualunque cosa fai rischi di commettere sbagli clamorosi) potrebbe non avere torto. Né Bush né Obama riuscirono a frenare il terrorismo sunnita (da Al-Qaida allo Stato islamico). Forse potrebbero riuscirci potenze sunnite alleate dell’America. Anche in tal caso, comunque, resterebbe aperto per gli Stati Uniti il problema del che fare con le ambiguità del sunnita turco Erdogan. Prima di tutto, però, si tratta di capire se quello di Trump non sia stato un gesto estemporaneo (come ipotizza Paul Berman sul Corriere di ieri).

Se l’America è davvero tornata in Medio Oriente, gli europei dovrebbero fare bene i loro conti. Sarebbe un’opzione realistica in tal caso assumere una posizione neutrale (che è la tentazione di molti europei)? Oppure, lo sarebbe schierarsi con i russi contro gli americani (la tentazione di altri)? Non c’è dubbio che assisteremmo a una vasta mobilitazione in Europa di tutti quelli che amano fare comunella con scorpioni, vedove nere e serpenti a sonagli, per i quali l’unico vero «cattivo» che si aggiri in Medio Oriente (insieme ad Israele, si capisce) è l’americano Trump.

Come sempre accade ci sono in gioco sia interessi che valori. Sul piano degli interessi, pur riconoscendo quanto sia faticoso e frustrante per gli europei avere a che fare con Trump, le alternative (per esempio una predominante influenza russa in Medio Oriente) sarebbero per noi un vantaggio? Si veda cosa è successo in Libia. L’assenza americana ha messo fuori gioco gli europei (italiani in primo luogo): il futuro del Paese è nelle mani dei russi e dei turchi. Senza contare che un’acutizzazione del conflitto Stati Uniti-Iran, con gli europei che tentennano, si dividono e magari inviano messaggi ostili all’America, darebbe forse la botta definitiva alla Nato. L’Europa resterebbe senza difese.

Sul piano dei valori, davvero potrebbe convenire agli europei spezzare del tutto quello che ormai è un debole legame con gli Stati Uniti? Non pare proprio che l’Europa, con i suoi principi costituzionali, con le sue libertà, con il suo stile di vita, abbia più affinità con la Russia che con l’America, con l’Iran che con Israele. Una cosa è la realpolitik (che obbliga, per esempio, a trattare con i sauditi). Una cosa diversa, molto diversa, sono le «affinità elettive». Non occorre una grande perspicacia per capire con chi abbiano più affinità gli europei.

5 gennaio 2020, 20:09 – modifica il 5 gennaio 2020 | 20:10

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